Issue 20 / JUNE 2015
IT / In latino il termine persona designava la maschera che gli attori portavano a teatro. Oggi, che a teatro non si porta quasi più, la parola maschera è passata a indicare la contraffazione dell’identità dettata, di volta in volta, dalle convenienze. Di legno o di tela, nell’antichità la maschera “stava” tra attore e personaggio da interpretare; immateriale, la maschera teorizzata da Pirandello è il volto stesso della persona che “recita” la propria parte nella vita paralizzata entro la forma. La maschera, nel teatro greco, rendeva verosimile l’inganno scenico; la maschera, secondo la lezione pirandelliana, falsifica la vita reale. Evidentemente non è una questione di moda se molte stagioni sono passate dalle prime di Eschilo, Sofocle & C. e il teatro, dentro e fuori dai teatri, resiste (tanto che perfino Nurant se ne occupa). E se resiste è perché a ogni alzata di sipario qualcosa, indipendentemente dal copione inscenato, accade. Resiste perché certi vizi non si perdono. Per fortuna, viene da dire, dato che θέατρον (théatron) discende dal verbo θεαομαι (vedere) e l’occhio continua a volere la sua parte. Quindi teatro è il luogo del veder accadere; un accadere costruito per testimoni coscienti del gioco e delle sue regole –va da sé–, altrimenti sarebbe vita di tutti i giorni e non arte. Secondo Copeau condizione per fare teatro è che ci sia qualcuno che ha individuato qualcosa da dire e qualcuno che ha bisogno di starlo a sentire. Per il maestro francese quello che si cerca con il teatro, quindi, è la relazione. Sarebbe interessante, al proposito, chiedere al Bardo che scrisse “tutto il mondo è un palcoscenico e gli uomini e le donne sono soltanto attori” chi possa essere mai il pubblico di questo spettacolo. Che si sia alzato lasciando la sala? Che non ci abbia mai messo piede? È sul teatro, sulle sue luci e le sue ombre, che il secondo numero 2015 di Nurant punta la matita.
EN / In Latin the word person was used to define the mask that actors used to wear on the stage. Nowadays actors rarely wear masks during plays and the word mask is now used to refer to the fake identities imposed by circumstances. Made of wood or fabric, in the ancient times the mask was the object between the actor and the character; immaterial, according to Pirandello’s theory the mask is everybody’s face, since we are all playing a role in our lives. The mask in the ancient times was used to make the play more real; according to Pirandello, the purpose of the mask is to falsify the real life. Obviously it is not because of fashion that so many years have passed since the first nights of Eschilo, Sophocle & Co, and this art is still alive inside and outside theatres (even Nurant writes about it). And if it is still alive, it is because something happens every time the curtain rises, no matter which script is being played. It is still alive because certain habits are hard to die. Luckily, we must say, since θέατρον (théatron) comes from the verb θεαομαι (to see) and you should also please the eye. So theatre is where you see things happening, in a way which is structured for audience aware of the game and its rules. Obviously, we must add, otherwise it would just be everyday’s life and not art. According to Copeau, to have theatre you need somebody who has something to say and somebody who wants to listen. According to him, what people want in the theatre is the relationship. It would be interesting to ask to the Bard who wrote “All the worlds a stage And all the men and women merely players” who could be the audience for this show. Maybe they got up and walked out of the room? Maybe they never got in? The second issue of Nurant in 2015 is about theatre, about its light and shade.